Un mare di
plasticaDi Pablo
Ayo – 20 febbraio 2008
“Il mare non ha paese nemmeno lui,
ed è di tutti quelli che lo stanno ad ascoltare, di qua e di là dove nasce e
muore il sole”.
- Giovanni Verga
“Mare, profumo di mare”, recitava
la sigla di una nota serie televisiva degli anni ’80. Ma che tipo di profumo può
avere oggi l’Oceano Pacifico, dove secondo gli esperti esiste un minestrone
galleggiante di plastica grande quasi il doppio degli Stati Uniti? Così gli
oceanografi definiscono la massa di rifiuti che galleggia nel Pacifico, tenuta
insieme dalle correnti sottomarine, che cresce a un ritmo vertiginoso e che
costituisce di fatto la più grande discarica del mondo. L'isola galleggiante,
scrive l'Independent, inizia a
formarsi 500
miglia al largo della California, attraversa il Pacifico
meridionale, oltrepassa le Hawaii e arriva fin quasi al Giappone. L'oceanografo
americano Charles Moore, che l'ha scoperta, la chiama “la grande massa di
immondizia del Pacifico” o “il gorgo di spazzatura”.
Il “Pacific Trash Vortex”
Il
“Pacific Trash Vortex”, ossia “gorgo di immondizia del Pacifico”, è un'isola di
spazzatura, soprattutto plastica, formatasi nell'Oceano Pacifico a partire dagli
anni Cinquanta, con un diametro di circa 2500 km , pari ad una superfice di
4.909.000 Km², una profondità di 30 metri ed un peso di 3.500.000
tonnellate, grazie all'azione della North Pacific Subtropical Gyre, una corrente
oceanica dotata di un particolare movimento a spirale orario, che permette ai
rifiuti galleggianti di aggregarsi fra di loro.
La North
Pacific Gyre, o Vortice del Nord Pacifico
(conosciuto anche come Vortice Subtropicale del Nord Pacifico) è una corrente
oceanica a forma di vortice circolare localizzato tra l'equatore il 50° di
latitudine nord. Occupa approssimativamente un'area di 34 milioni di km², si
muove in senso orario ed è formato prevalentemente da quattro correnti oceaniche
: la Corrente
del Nord Pacifico a nord, la
Corrente della California ad est, la Corrente nord equatoriale a sud e
la Corrente
Kuroshio a ovest. Il centro di tale vortice è una regione
relativamente stazionaria dell'Oceano Pacifico (ci si riferisce spesso a
quest'area come la latitudine dei cavalli ) al cui centro si accumulano notevoli
quantità di rifiuti, soprattutto plastica, ed altri detriti a formare una enorme
"nube" di spazzatura che ha assunto il informale definizione di Isola orientale
di Immondizia o Vortice di Pattumiera del Pacifico. Storicamente questi rifiuti
erano spontaneamente sottoposti a biodegradazione, mentre in questo luogo si sta
accumulando una enorme quantità di plastica e di rottami marini. La plastica
invece di essere fotodegradata si disintegrata in pezzi sempre più piccoli, che
mantengono la caratteristica di polimerica anche quando raggiungono le
dimensioni di una molecola, la cui ulteriore assimilazione è molto difficile. La
fotodegradazione della plastica può produrre inquinamento di PCB. Il
galleggiamento di tali particelle che apparentemente assomiglia a zooplancton,
inganna i molluschi che se ne cibano, causandone l'introduzione nella catena
alimentare. In alcuni campioni di acqua marina presi nel 2001 la quantità di
plastica superava di un fattore sei quella dello zooplancton (la vita animale
dominante dell'area).
Occasionalmente, improvvisi
mutamenti nelle correnti oceaniche provocano la caduta, da parte di navi cargo
di interi containers che non solo vanno ad alimentare il Nord Pacific Gyre, ma
arenano su spiagge poste ai confini del PTV. La più famosa è avvenuta nel 1990;
dalla nave Hansa Carrier sono caduti in mare ben 80.000, tra stivali e scarpe da
ginnastica della Nike che, nei tre anni successivi, si sono arenati tra le
spiagge degli stati della British Columbia, Washington, Oregon e Hawaii E questa
non è stato l'unico caso: nel 1992 sono caduti in mare, decine di migliaia di
vasche da bagno giocattolo e nel 1994 attrezzatura per hockey. Questi eventi
sono molto utili per determinare, da parte di diversi istituzioni, i flussi
delle correnti oceaniche su scala globale.
Per diversi anni alcuni
ricercatori oceanici, tra cui Charle Moore, hanno investigato a fondo la
diffusione e la concentrazione dei detriti plastici presenti nel North Pacific
Gyre. La concentrazione della plastica è di 3.34x106 frammenti per km2, con una
media di 5.1kg/km2 raccolti utilizzando una rete a strascico rettangolare delle
dimensioni di 0.9x0.15 m2. A 10 mt di profondità è stata individuata una
concentrazione di detriti pari a poco meno la metà di quella in superficie,
detriti che consistono principalmente di monofilamenti, fibre di polimeri
incrostati di plancton e diatomee.
Marcus Eriksen, ricercatore della
Marine Research Foundation creata da Moore, spiega: “Inizialmente la gente si
era fatta l'idea di un'isola di rifiuti di plastica sulla quale si sarebbe
potuto camminare, ma non è così. È una specie di infinito minestrone di
plastica, che si estende su di un’area grande forse il doppio degli Stati
Uniti”. L'oceanografo Curtis Ebbesmeyer, che da più di 15 anni si occupa del
problema della dispersione della plastica nei mari, paragona il gorgo di
spazzatura a un organismo vivente: "Si
divincola come un grosso animale senza guinzaglio", dice. Quando la “bestia”
si avvicina alla terraferma, come è accaduto alle Hawaii, le conseguenze sono
gravissime. “La massa di rifiuti
rigurgita pezzi e le spiagge si coprono di un tappeto di plastica”.
Qualcuno potrebbe pensare che
tutto sommato il mare è talmente grande che prima o poi riassorbirà anche
l’odiata plastica. Ma il problema vero è l’effetto che il lento rilascio di PCB
(Policlorobifenili) ha sulla catena alimentare che nasce dal mare, che coinvolge
direttamente anche noi esseri umani.
Di recente, alcuni ricercatori
dell’Università di Oslo, in cooperazione con gli esperti del Dipartimento di
Ostetricia e Ginecologia dell’Università di Tokyo, hanno pubblicato uno studio
intitolato “Accertamento di
contaminazione umana con agenti chimici che determinano disregolazione
estrogenica ed il loro rischio per la riproduzione umana.” In questo
documento, i ricercatori hanno postulato una teoria sui possibili effetti
estrogenici di contaminanti ambientali come PCB, diossina ed insetticidi, che
sta provocando molta preoccupazione. La "teoria estrogenica" indica che la
persistente bioaccumulazione di agenti chimici influenza lo sviluppo fetale
agendo come estrogeni. Questi determinano danni permanenti, in particolare negli
organi riproduttivi. La teoria è basata sui rapporti su animali delle regione
dei Gran Laghi in nord l'America, e sugli alligatori della Florida e sulla pesca
nei fiumi in Gran Bretagna. Una riduzione della qualità del seme umano si è
verificata durante il corso degli ultimi 50 anni, ed è stata indicata la
possibilità che questo sia il risultato di una larga contaminazione ambientale.
L'Incidenza più alta di altre malattie come ipospadia, criptorchidismo e cancro
del testicolo indica anche che qualcosa sta colpendo la salute riproduttiva del
maschio. Se l'incidenza più alta di endometriosi e cancro del seno può essere
spiegata dall'ipotesi estrogenica è un forte interrogativo. Che molti
contaminanti ambientali hanno effetti estrogenici, è stato documentato.
L’origine misteriosa di un
continente di rifiuti “La vittoria ha
molti padri, la sconfitta è orfana” dicevano latini, e così anche per quello che riguarda
il nostro maremagnum di rifiuti
vagante, nessuno sembra avere particolarmente fretta di dichiararsene l’autore.
Ma da dove può essere nata una tale marea di plastica e rifiuti non
biodegradabili? Di sicuro non può essere semplicemente frutto del rilascio di
oggetti o scarti da parte di navi in transito nei mari del pacifico. Le
enciclopedie alla voce “rifiuti oceanici” hanno due voci, il “jetsam”, vale a
dire il volontario lancio fuori bordo (jettisoned) di oggetti, generalmente per
situazioni di emergenza, e il “flotsam”, descritto come la perdita di materiale
di bordo in seguito a incidenti o schianti. Appare evidente che nessuna di
queste due spiegazioni si attaglia alla situazione in essere, quante navi
avrebbero dovuto naufragare per produrre una tale quantità di materiale
inquinante? Certo, esistono casi limite come quello succitato della nave Hansa
Carrier, che il 27 maggio del 1990, mentre procedeva verso gli Stati Uniti
provenendo dalla Corea, naufragò a causa di una terribile tempesta tropicale, e
80.000 scarpe finirono in mare. Ma si tratta di casi rari e isolati, tant’è vero
che il caso della Hansa Carrier è tutt’ora
uno dei più studiati dagli oceanografi perchè è stato utilissimo per
capire la struttura delle correnti oceaniche (http://www.msc.ucla.edu/oceanglobe/pdf/nike_invest.pdf
).
Ma se si tratta di
casi così rari, come ha fatto a formarsi un’isola galleggiante di rifiuti grande
quasi il doppio degli Stati Uniti?
Tornano in mente i traghetti nostrani, che carichi di
rifiuti che nessuno desidera, approdano in Sicilia o in Sardegna in cerca di una
zona di stoccaggio, con carichi di 800 tonnellate di immondizia per viaggio.
Riguardo ai rifiuti del Pacifico, l’ipotesi più credibile allo stato attuale è
che si tratti di rifiuti domestici che nessuno voleva, provenienti da parti del
mondo dove lo stoccaggio e lo smaltimento dei rifiuti rappresenti un grosso
problema. Nella sterminata discarica infatti si può trovare un po’ di tutto, dai
palloni da calcio ai mattoncini del Lego, fino ai famigerati sacchetti di
plastica, difficile quindi pensare a materiale di uso comune su di una nave. La
massa inquinante in realtà è formata da due parti: la massa orientale, a
sud-ovest del Giappone e quella occidentale a nord-ovest delle Hawaii. Curtis
Ebbesmeyer, un oceanografo che da oltre 15 anni studia il problema della
plastica dispersa in mare, ha paragonato il ”minestrone” ad un gigantesco
organismo vivente: “Si divincola come un
grosso animale senza guinzaglio”. E quando si avvicina alla terraferma, come
succede all’arcipelago delle Hawaii, le conseguenza sono drammatiche: “È come se vomitasse e le spiagge si coprono
di ‘confetti’ di plastica”. David Karl, un oceanografo dell’università delle
Hawaii ha dichiarato che ulteriori ricerche sono necessarie per stabilire
l’estensione e la composizione del ”minestrone di plastica”. Ma da dove proviene, fisicamente, la marea di plastica che
sta imbrattando le isole Hawaii?
Il tratto di mare interessato
all’inquinamento è sito tra Giappone e le coste della California, e interessa la
zona delle isole Hawaii, in genere considerato un autentico paradiso ecologico.
Una rapida analisi delle correnti oceaniche ci dimostra che per giungere in quel
punto, la massa inquinante può provenire solo dal nord, e più esattamente dal
Mare di Bering. In quel punto probabilmente si è generata la marea di plastica
grande due volte gli USA che ora affligge il cuore del Pacifico. Lo Stretto di
Bering è uno stretto marino tra Capo Dezhnev, il punto più ad est del continente
asiatico, e Capo Principe di Galles, il punto più ad ovest del continente
americano. È largo circa 85 chilometri , con una
profondità compresa tra 30 e 50 metri . Lo stretto unisce il mar
Chuckhi (parte dell'Oceano Artico) a nord con il Mare di Bering (parte
dell'Oceano Pacifico) a sud.
Naturalmente, solo lo stato
americano dell’Alaska e la Federazione
Russa si affacciano su di quel tratto di mare del nord,
generalmente disabitato per chilometri e quasi mai monitorato da strutture
civili o agenzie di stampa. L’Alaska è da sempre uno stato molto attento
all’ambiente, difatti il mare di Bering è da sempre una importante risorsa
ittica per gli Stati Uniti, da sola tale zona – uno dei sistemi marini più
ricchi del pianeta – sostiene metà della industria ittica degli States. Per
proteggere queste zone, che custodiscono tra l’altro l’Alaska Maritime National
Wildlife Refuge e le Pribilof Islands, definite come le 'Galapagos del Nord', il
governo americano – probabilmente preoccupato dalla possibilità di perdere una
redditizia risorsa di pesca - ha di recente lanciato una serie di iniziative
ambientali, come la “Pacific Environment”, con lo scopo di creare aree marine
protette e prevenire perdite di sostanze inquinanti dalle navi.
Difficile pensare che interi
carichi di ecoballe siano stati rilasciati dallo stato dell’Alaska così vicino a
casa propria. Gli americani, quando devono disfarsi di rifiuti (specie se
tossici o radioattivi), lo fanno ben lontano dalle loro coste, possibilmente in
qualche sperduto paradiso ecologico del terzo mondo, dove non esistono quei
diritti civili a cui sembrano così allergici. Dall’altra parte del mare di
Bering, invece, abbiamo l’amministrazione Russa, che da anni riceve numerosi
ammonizioni internazionali per la scarsa attenzione all’ambiente.