mercoledì 31 ottobre 2012

Joe Jackson and the Bigger band @ Teatro Nazionale, Milano 29/10/12

da www.rockol.it
“Se siete qui per vedere ‘Saturday night fever’ avete sbagliato serata. Potete tornare a casa”. Ridacchia soddisfatto, Joe Jackson, davanti al sold out del Teatro Nazionale di Milano, da qualche anno riconvertito in tempio del musical. E sorridono compiaciuti, alle sue prime note di tastiera e ai suoi primi vocalizzi, anche gli spettatori perché la sala ha un’acustica perfetta che rimanda un suono ad alta definizione. Merito di chi ha progettato la nuova sonorizzazione del del teatro, ma anche di una delle live band più straordinarie che mr. Jackson abbia allestito in tanti anni di carriera: con il “featuring” della violinista jazz Regina Carter, che dopo una prima parte più contenuta in cui a prendere il proscenio è soprattutto il chitarrista Adam Rogers, si scatena nella seconda metà di uno show a struttura “circolare”, aperto e chiuso (prima dei bis) da una versione solo e una “full band” dello standard “It don’t mean a thing (If it ain’t got that swing)”. E’ il concerto “ellingtoniano”, incentrato – ma non troppo – sull’ultimo “The Duke”, e subito si ha conferma di quanto si poteva intuire: nell’arco dell’azione scenica le esecuzioni degli standard del Duca si disfano della patina zuccherosa, algida e a volte artificiosa delle incisioni di studio per animarsi e prendere vita, forma, ritmo. Qualche purista continuerà a storcere il naso, ma intrigano la galoppata afro di “Caravan”, una malinconica “Mood indigo” in cui Jackson imbraccia la fisarmonica, una “Rockin’ in rhythm” con tuba e incedere da marching band da New Orleans, una esoterica e reggata “The mooche/Black and tan fantasy” – futurismo sonoro anni Venti – con Rogers impegnato in assoli dissonanti alla Fripp o alla Adrian Belew (meno efficace, forse, “Perdido” in salsa bossa nova, anche se si apprezzano la bella voce e il canto in portoghese della androgina Allison Cornell, già vista anni fa nel tour di “Night and day 2″). Il gioco, dichiarato, è di stravolgere e reinventare Ellington per evitare paragoni improponibili con gli originali che gli speaker hanno diffuso in attesa dell’inizio della performance: e dal vivo, molto più che su disco, funziona benissimo. Da buon bandleader e direttore d’orchestra, e consapevole degli assi che ha nella manica, Jackson (in ottima forma vocale, a dispetto delle sigarette e dell’età che avanza) lascia ampio spazio ai suoi, e già la disposizione sul palco la dice lunga: lui (per chi guarda il palco) all’estrema sinistra, con al centro il bassista/contrabbassista Jesse Murphy, perché il suono parte dal basso e il cuore ritmico, in questa musica, pulsa che è un piacere. Le percussioni di Sue Hadjopoulos (una vecchia conoscenza) e la batteria di Nate Smith fanno scintille sul finale di “Invisible man” (dall’album “Rain”, che Jackson ricorda di aver presentato in trio nel suo passaggio precedente da Milano) e nella sempre fantastica sequenza dedicata a “Night and day”, col violino della Carter in volo libero, l’eccitante salsa newyorkese di “Another world” e “Target” e una “Steppin’ out” con basso e batteria analogici impegnati a tenere un ritmo metronomico e digitale. A inizio concerto c’era stato spazio per il pop raffinato di “It’s different for girls” e per il funk di “You can’t get what you want” (grandi applausi del pubblico), più avanti per due selezioni da “Big world” (“non uno dei miei dischi preferiti”, confessa Joe): una bluesy “We can’t live together” che è una delle migliori sorprese della serata e la ballad sentimentale “Home town” in versione per chitarra acustica e tre archi (alla Carter si uniscono la viola della Cornell e il contrabbasso con archetto di Murphy). I riarrangiamenti gustosi e inventivi del vecchio repertorio sono sempre stati il plus dei concerti jacksoniani, e nei bis si annida la sorpresa più intrigante: il primo hit “Is she really going out with him?”, che in passato era stata riletto per voci a cappella e per folk band da strada, viene riproposto stavolta in un impagabile arrangiamento bandistico per tuba, fisarmonica, piatti e “fuckin’ banjo” (ancora la poliedrica Cornell), mentre il ritmo secco in levare di “Sunday papers” riporta a “Look sharp!” e a fine anni Settanta e l’imprescindibile “A slow song” vede i musicisti uscire salutando uno a uno dal palco per lasciare di nuovo soli Joe e la sua tastiera. Si chiude così, con gli inchini teatrali dello spilungone inglese, uno dei concerti dell’anno, un’ora e quaranta di delizia per le orecchie e di musica di altissima classe. Che, ci piace immaginare, sarebbe piaciuta anche al Duca. 




Setlist:
“It don’t mean a thing (If it ain’t got that swing)” (solo version) 
“It’s different for girls” 
“Caravan” 
“You can’t get what you want (Till you know what you want)” 
“I’m beginning to see the light”/”Take the ‘A’ train”/Cotton tail” (medley)
“Mood indigo” “Rockin’ in rhythm” 
“Invisible man” 
“Be my number two” 
“We can’t live together” 
“Home town”
“Perdido”/”Satin doll” 
“The mooche”/”Black and tan fantasy” 
“Another world” 
“Target”
“Steppin’ out”
“It don’t mean a thing (If it ain’t got that swing)” 
Bis: “Is she really going out with him?” 
“Sunday papers” 
“A slow song” 














sabato 27 ottobre 2012

TRIPLE KARMELIET


NOME
Triple Karmeliet
TIPOLOGIA
Birra Speciale
FORMATO
75 cl.
NAZIONE
Belgio
TRIPLE KARMELIET
Birra bionda ai tre cereali, corposa e dal delicato gusto fruttato. Viene preparata e fatta maturare con tecniche moderne seguendo però una ricetta dei monaci carmelitani di Dendermonde che risale al 1679. Birra al 100% naturale, brassata con frumento, avena e orzo, La Tripel Karmeliet è una birra piacevole da degustare come dessert, capace di stupire grazie al suo gusto fruttato ed alla sua dolcezza di fondo. Rifermentata in bottiglia. Vol. alc. 8%. 


martedì 23 ottobre 2012

SPETTACOLO SPETTACOLARE - 21 ottobre 2012




Due serate di beneficenza al Teatro Galleria di Legnano in compagnia dei Clan Destini.
La compagnia teatrale amatoriale legnanese dei Clan Destini sul palco del Teatro Galleria rappresenta Spettacolo Spettacolare, per due serate all’insegna del musical e della sensualità nell’esclusiva cornice del Moulin Rouge.
















sabato 6 ottobre 2012

La Gauloise Blonde


La Gauloise Blonde
E’ una blonde chiara, beverina, dalla non eccessiva gradazione alcolica e di amarezza contenuta (22 IBU). La vecchia etichetta, non l’attuale, rappresentava la dea Cerere, “patrona” delle messi, il cui nome nella lingua celtica dei Galli era appunto Gauloise; adesso è stato fatto un restyling di tutte le labels.
La birra ha colore biondo, netto e pulito, schiuma compatta, cremosa e relativamente persistente. L’insieme dell’aroma+gusto è corretto, equilibrato, senza però tanti voli pindarici: ben fatta, ma un po’ di fantasia in più non guastava. Aroma relativamente intenso ed elegante, che abbina  note leggermente fruttate e speziate a note di limone, vaniglia, e un accenno di luppolo. Di media frizzantezza, abbastanza vivace comunque, ha corpo rotondo e relativamente strutturato, con un impatto morbido sul palato e una evoluzione che mette in luce note agrumate e leggermente citriche. La parte alcolica si affaccia nel finale, mediamente lungo e tendenzialmente asciutto e amarognolo, rendendola, nell’insieme, comunque beverina e mediamente dissetante.
Stile: golden ale
Fermentazione: alta
Aroma: intenso ed elegante
Intensità olfattiva: equilibrata
Finezza olfattiva: bilanciata e fresca
Ricchezza retrolfattiva: buona
Persistenza retrolfattiva: leggera
Gusto: intenso e dissetante
Corpo: rotondo
Amaro: abboccata
Equilibrio gustativo: morbido
Schiuma: cremosa
Frizzantezza: frizzante
Colore: biondo chiaro
Aspetto: chiaro
Gradazione: 6,3%
Formato: • bottiglia da 33 cl
• bottiglia da 75 cl con tappo in sughero
Provenienza: Namur - Belgio

Abbinamento gastronomico
• Pesce e carni cotte bollite
• Formaggi freschi anche erborinati
• Macedonia di frutta secca



Il birrificio
Brasserie Du Bocq
Situata a Purnode, in provincia di Namur, nella valle del Bocq, famosa per la qualità delle sue acque.
Fondata dal 1858 da Martin Belot, aiutato in questo dai suoi 3 fratelli; tutto inizia all’interno della fattoria di famiglia, nel periodo invernale, quando i  lavori dei campi segnano il passo, e usando la splendida acqua del pozzo all’interno della fattoria stessa. La prima birra ad essere prodotta in maniera sistematica è stata la Galouise brune, ad alta fermentazione, che da subito incontrò il favore dei consumatori. La trasformazione da birrificio a conduzione familiare a società per azioni avviene nel 1949, anche se il controllo totale resta nelle mani della famiglia, che tutela gelosamente la propria indipendenza da tutti i più grandi produttori belgi e stranieri. Nel 1960 la ditta cessa la consegna porta a porta delle birre, loro caratteristica fin dall’inizio, e si immette nella grande distribuzione, aggiungendo, a partire dal 1967 anche le birre prodotte fino ad allora dalla Brasserie Centrale di Marbaix – Tour, che viene acquisita dalla DuBocq proprio in quell’anno. Da qui inizia la specializzazione nella produzione di birre ad alta fermentazione, e la riscoperta e valorizzazione di molte birre regionali. A questo si aggiunge anche la produzione interna su licenza di birre di altre brasserie, che ricorrono alla DuBocq per produrre e imbottigliare le proprie birre (St. Feuillien, Corsendonk, Fagnes, Vanuxeem). Dal 1983 tutta la produzione si sposta definitivamente a Purnoude, dove tutt’ora continua a pieno ritmo, tanto da fare della DuBocq  una delle birrerie indipendenti più importanti della Vallonia, con una produzione vicina ai 100.000 hl annui.


Le birre prodotte in proprio sono: REDBOCQ, APPLEBOCQ, La GAULOISE BLONDE, BRUNE e AMBREE, SAINT BENOIT BLONDE e BRUNE, BLANCHE DE NAMUR,BLANCHE DE NAMUR NOEL, SAISON REGAL, TRIPLE MOINE, DEUGNIET, BOCQ NATALE.



martedì 2 ottobre 2012

Sierra Nevada Stout






La Sierra Nevada Brewing Company può essere considerata, forte dei suoi 510.000 ettolitri annuali, la più grande industria di birra artigianale americana dopo la Boston Beer Company’s Samuel Adams. Sicuramente una tra le pioniere della rinascita del movimento artigianale americano. La sua storia ha inizio nel 1979, allorquando Ken Grossman e Paul Camusi aprono a Chico, in California, il loro piccolo birrificio artigianale. Nel 1980 i due tirano fuori dal cilindro la, tuttora, pluriacclamata Sierra Nevada Pale Ale e iniziano a mietere successi mondiali nei migliori eventi brassicoli.
La Sierra Nevada Stout è un ottima stout di stampo americano. Si presenta con il classico colore scuro delle stout e con un schiuma color caffelatte abbastanza cremosa. Prodotta con importanti percentuali di malto caramello e black, ha il classico approccio gustativo tostato delle stout, ma l’utilizzo di luppoli americani come Cascade eWillamette apporta un’evoluzione aromatica tenende ad un finale molto più caratterizzante.
Cuorisità: Le birre della Sierra Nevada sono così popolari negli USA, da apparire in molte serie TV  come Friends, Sex and the City,  Flashforward  e Crash.


FLAMINGOES - Villa invernizzi - MiLANO